di Luigi Cannillo

Anna Lombardo scrive con due percorsi di stile che si alternano e talvolta si intrecciano: uno tendenzialmente più verticale e l’altro più orizzontale, in estensione o sottrazione di elementi a seconda dei casi. Scopriamo la prima modalità per esempio nei testi sintetici di Con candide mani, nei quali è accentuato l’aspetto del pudore dei sentimenti, di fronte alla perdita: “Misurare la distanza tra te e un fiore/ controllare quanto sangue/ cola lungo le ferite/ considerare il vuoto, il pieno/ la mancanza”. Come osserva Alessandro Cabianca nella prefazione alla raccolta “A volte un profluvio di parole non comunica quanto una sospensione o un silenzio. L’ansia che produce un silenzio, quando se ne coglie il vuoto, non è lo stesso tipo di ansia che produce un silenzio carico di suggestioni e di quella serenità che deriva dal coglierne i significati appena accennati. […] Il turbamento che discende da quel che non si potrebbe accettare se non con un atto di rimozione viene accennato nel momento della presa d’atto che l’irreparabile è compiuto e che solo una parola ridà corpo all’esperienza vissuta e in certo senso la giustifica” Anche nel testo conclusivo della sequenza proposta, Scalcia terra, la suddivisione in strofe e la ritmica concentrano il cerchio della tensione attraverso ‘elemento dell’essenzialità.
La seconda tendenza compositiva dell’autrice è invece orizzontale, si dispiega in una misura più estesa di testi e versi. Racconta storie, espone impegno e denunce in modo partecipato e appassionato. Corrisponde a una sensibilità di critica sociale che preferisce essere esplicita come nel testo Per Nirmal Singh – morto assiderato nell’ex stabilimento di via Tempini a Brescia l’11-12-2012 contenuto nell’antologia La nostra classe sepolta – Cronache poetiche dal mondo del lavoro. E di cronaca sensibile si può trattare, di attenzione al contemporaneo, anche nella denuncia del degrado dei luoghi, dell’inquietudine osservando che “Una pletora di selfie/ Immortala sospira di chiome/ Ammalate al vento e tutto si adagia/ Nel fluire minaccioso del tempo.” O nel rivendicare comuni radici affermando l’esigenza di pace e giustizia in In caso l’abbia tu scordato…
Anna Lombardo si pone in modo altrettanto critico e dialettico se non dubbioso, rispetto alla stessa parola, e in particolare alla parola poetica, nella ricerca (anche auto/critica) di un percorso che resti dentro il Sogno, la speranza, che non perda contatto con l’Utopia: “Riduco parole troppo all’osso/ o è l’osso che si è rimpicciolito/ come gli occhi che stringono/ il cielo per costellazioni nuove?” In questa epoca, in questo contesto, non è più possibile dire “di sbieco” quando tutto sembra arrivare di traverso: l’espressione diretta e immediata consente posizioni nette, quindi trasmette consapevolezza e condivisione.
Già nel primo testo antologizzato, edito nella rivista Le voci della Luna l’autrice concludeva: “Cerca tra le perle delle tue mani/ una parola nuova, nuova eco/ che risuoni nelle vene come fruscio d’amore/ nelle frasche, un filo rosso attrarre/ e prendere a srotolare.” L’energia verbale, il filo rosso trova sintesi particolarmente felice proprio in quella stessa poesia, nella caratteristica allegorica dei testi dove verticalità e orizzontalità convivono, nel rapporto disincantato tra realtà e trasformazione in un tempo nuovo “veloce e capriccioso”. Si tratta di una poesia piena di interrogativi rispetto ai risultati e alle prospettive dell’agire (Cosa peggiorò la vista? Cosa mancò allo sforzo? Ricominciare con gli orizzonti offuscati?), in un paesaggio spazio- temporale che ricorda nella sua desolazione la Waste Land di Eliot. E proprio nell’alternarsi di ampi slanci e concisione, nella ricerca di una sintesi tra ideali e vivere quotidiano che si possono tentare delle risposte agli interrogativi, che interiorità e coscienza sociale possono ritrovarsi e coincidere sviluppando ricerca di senso. All’interno di questa ricerca la parola, e in particolare la parola poetica, resta elemento essenziale di comunicazione e relazione, preziosa in una poesia che sia essa stessa componente fondamentale di comprensione e rappresentazione della realtà. Il tratto comune non solo da riuscire a creare o attrarre, ma da “srotolare” tra gli eventi.
da Quel qualcosa che manca/The something that’s missing, Le Voci della Luna, 2009
Appuntite lame picchiettano
insistenti le spalle peregrine
di questo tempo. Fingiamo che l’estate
sia un bel canto e gli scherzi del cielo
un beccheggio sul mare.
Son stagioni che perdurano ora tanto
quelle che soffocano riso e pianto e
mani aperte come ciglio di un bimbo
sonnecchiante. Ah, questo secolo andante!
Sono minuti abbozzi di uccelli
i pensieri senza ali, cinguettano
le sinistre ombre sempre più sorde
alle sirene antiche.
Ora il tempo è nuovo come l’acqua
che nuova s’è seccata e più non si
congiunge con l’amata terra. Cosa peggiorò
la vista? Cosa manco allo sforzo?
Celata nella gabbia delle pulci la lotta
del vivere quotidiano e a schermo
un pensile giardino per occhi
di sconvolti emigranti. Ricominciare
con gli orizzonti offuscati?
Davvero il sole compie la salita
La terra ondeggia e il cielo spinge?
Tieniti in grembo le astuzie; il tempo
È veloce e capriccioso ora
E tutto sembra un film mal digerito.
Cerca tra le perle delle tue mani
una parola nuova, nuova eco
che risuoni nelle vene come fruscio d’amore
nelle frasche, un filo rosso attrarre
e prendere a srotolare.
* * *
dall’antologia La nostra classe sepolta – Cronache poetiche dal mondo del lavoro, Ed. Pietre Vive, 2019
PER NIRMAL SINGH
morto assiderato nell’ex stabilimento di via Tempini a Brescia l’11-12-2012
La notte che avvolge con candidi o fiorati cuscini
il tuo morbido corpo
la notte tanto attesa dagli innamorati
– quel vestito che la terra indossa con eleganza e mistero
che risveglia o addormenta per sempre –
è la notte che interrompe l’arsura del giorno
quel buio che è amico a chi non vede oltre lo sguardo
della sua calda casa-confine.
La notte buia del nostro continente
si è chiusa indifferente sul corpo di Nirmal Singh
indiano di 36 anni giunto nel 2002 in attesa di permesso.
Nirmal Singh costretto nella notte fredda bresciana
dal nostro grado zero di accoglienza.
Avrà mai peso quella sua ultima notte
nelle nostre notti di “pace occidentale”
per noi che ci teniamo sepolti
in un mare di sillabe ancora pazienti?
* * *
da Con candide mani, Proget Ed., 2020
Misurare la distanza tra te e un fiore
controllare quanto sangue
cola lungo le ferite
considerare il vuoto, il pieno
la mancanza
quell’assenza che imprigiona la corolla
del fiore reciso non si sa quando
è l’esercizio mentale
più intransigente adesso
che si fa spazio fin negli spazi
più remoti della mente
***
Tutto è un caos momentaneamente
eterno, il rosicchiare delle menti
quel torpore che accorcia le distanze
tra l’alba e il sonno
e spezza ogni remota speranza
di stare dentro al sogno
come uccello fuori dalla gabbia
INEDITI
Quei luoghi che di noi dicono tutto
Quei luoghi che di noi dicono tutto
Dovrebbero parlare, chiudersi alle passerelle
Comiziali, alle genuflessioni, alle dichiarazioni
D’amore smisurato
Quei luoghi calpestati, sviliti e svuotati
Giorno dopo giorno,
Sole e pioggia, acqua infetta
Mani e piedi restii a cambiamenti
E tuttavia, quei luoghi serbano
Ancora speranza a me mentre
La nostra luce riflette un corpo
Adombrato di carcasse umane
Una pletora di selfie
Immortala sospiri di chiome
Ammalate al vento e tutto si adagia
Nel fluire minaccioso del tempo
(Venezia, ottobre 2020)
** *
Presagi
1.
Questo mondo non parla
S’azzuffa, cane in cerca di ossi
Ammaliato da robotiche sentinelle
Del divenire. Tornare ai vecchi campi
Profumare di brezza in colloquio col mare
Violaceo, vestiti da predatori coi coltelli
In mano. Un sospiro che
Si spegne. Uno su tutti, tutti su uno
Prediche giornaliere in fumetti
Affamati. Rispecchiamento. Il sale
Si insinua tra maniche, orpelli di ogni
Tipo e valore. Parola s’inceppa; i nervi
Fuscelli alla deriva. Il dialogo con stelle
Sconfitte tra radar, droni, pazzie
Di occidente e di oriente incuneato
Tra religione e scienza.
[…]
(Venezia, 29/12/2020)
* * *
da NON SO PIÙ DIRE DI SBIECO
Tell all the truth, but tell it slant (Emily Dickinson)
1.
Io non so
Più dire di sbieco
Ora le ore
S’accorciano lente
Si sono accorte del tempo
Quell’ombra che ti precede
Lieve senza mai
Voltar le spalle
Schiuma bianca
Vapore malefico
Nei versi
Stampigliati
Ai bordi sbordati delle strade
Il vento è di traverso
Patti inutilmente infruttuosi-
No, non so più dire
Di
Sbieco
(Venezia, 2022)
* * *
In caso l’abbia tu scordato
veniamo dalle stesse cellule di madre
colei che semina
ostinata questa terra
Lo vedo come l’hai dimenticata
come quel suo affanno non ti appartiene
da come abbracci quel fucile
come semini odio anche tra alberi più dimessi
C’è uno spessore altro nel respiro
profondo che percuote il cuore
giunge allo sterno, poi stringe la gola
un fumo che disegna corpi attorcigliati
Gravidi di ragioni e torti inutili quanto
il battito di una mano sola sull’orlo
del proprio pregiudizio. Io mi ripiglio
certo l’alba dorata piuttosto
Che il fosco giorno. Nebbia
e torpore rigurgita ogni momento
e stanco ora ritorna il pensiero
al viaggio glaciale dei nostri tempi insani
Riduco parole troppo all’osso
o e l’osso che si è rimpicciolito
come gli occhi che stringono
il cielo per costellazioni nuove?
Il cerchio si inebria di luce
forse solo quando luce non riflette
il cerchio vuoto di passi stanchi
e mani appese a esili rami
Come ricami su tende che il sole
tende a scolorire: io, l’altrove, tu e il quando
e il come? Sottraggo intanto
l’amore mio da questo inferno
Gli dico che stare dentro il sogno
spinge speranze, spazza il vento
nei solchi di verità
nude e scintillanti
Perché veniamo dalle stesse cellule
di madre, colei che semina
ostinata quest’altra terra che giorno
e notte mi arde di parole
(Venezia, 9/6/2022)
* * *
Scalcia terra
Vento inquieta
Rovente s’abbatte sole
Se cerchi passato
Presente o futuro
Volgi lo sguardo
Al mare increspato
A fatica solleva corpi
In fuga sull’onda
Dei disastri nostri
Scalcia terra
Inquieti ultimi alberi
Ultimi respiri
Tu resta
(Venezia, 2022)
Nota Biobibliografica
Anna Lombardo: Vive a Venezia. Poetessa, traduttrice e attivista culturale. Laurea in Lingue presso Università Ca’ Foscari di Venezia; PhD sulla marginalizzazione della scrittura poetica femminile presso il Trinity College di Dublino. Raccolte poetiche bilingue: Anche i Pesci Ubriachi (2002); Nessun Alibi (2004); Quel qualcosa che manca (2009); Con Candide mani (2020). Ha curato le seguenti antologie: C’è chi crede nei sogni (2014); 15×15 la fotografia incontra la poesia (2020); Quaderni della Palabra Numeri:1-2-3- (2020-2021-2022), La Traduzione al tempo del Covid (2021). Lavori critici e di traduzioni di vari autori e autrici, tra i quali: A. Lowell, J. Hirschman, J. Lussu, PP. Pasolini, Chi Trung e Matt Sedillo. Suoi testi, tradotti in varie lingue sono presenti in riviste ed antologie nazionali ed internazionali. Ospite in molti festival internazionali (U.S.A., India, Irak, Colombia). Collabora con il Global Right e con il World Poetry Movement. Alcuni testi in inglese sono presenti nell’ultimo numero internazionale del Poetry Planetariat Number 4 (2020) e Voices from Far and Near (2020). Dal 2012 cura la direzione artistica del FIP (Festival Internazionale di Poesia) Palabra en el Mundo per Venezia che annualmente accoglie diverse voci nazionali ed internazionali.