di Luigi Cannillo

La poesia può realizzare un dialogo con l’Assenza. Per esempio con coloro che non sono effettivamente presenti ma comunque compartecipi, o destinatari ideali. L’evocazione non è un richiamo che esiti sulle soglie della separazione o della distanza, ma procede intrepida, oltre quel confine. Marco Vitale mette in contatto gli elementi contingenti e quelli evocati attraversando tempi e luoghi diversi come, nel primo dei testi scelti dallo stesso autore, la realtà e la suggestione cinematografica, Milano e Parigi, Milano e Roma, in un monologo che osa concludersi con una domanda comune che non ha risposta: “E tu come stai?” A volte è la memoria a fungere da “guida sul percorso” tra il Novecento e i decenni successivi, tra un lì e un qui fisicamente collocabili ma anche distanza metafisica e anche nella successione coesiva dei versi, tra sé e un padre. Sono tanti i riferimenti alla cultura francese, nella figura della Tarasque, male ridimensionato a più innocuo mostro casalingo, o nella collina Fourvière sopra Lione, occasione per ritrovare traccia di una propria genealogia in un autoritratto sdoppiato non solo nella storia ma anche nel luogo. E il dialogo con gli assenti conclude la sequenza dei testi con il ricordo di Alberto Toni, poeta romano recentemente scomparso.
L’attraversamento di Tempo e Spazio avviene planando, con decolli favoriti dal soffio di un vento favorevole ma mai turbinoso, quello di una memoria dolente e intrepida ma mai tragica, sorretta dal concetto di aporia con un orlo di rassegnazione e consapevolezza del paradosso e dell’enigma dell’esistere. Anche gli atterraggi sono attutiti dalla stessa consapevolezza e dall’esistenza della poesia come percezione aumentata, se non, indirettamente, come possibile consolazione. Il fraseggio aereo si rispecchia nella composizione, nel sapiente uso del silenzio, di un versante antiretorico, allusivo. La suddivisione in strofe che si richiamano, l’articolazione e lo sviluppo dei temi, gli a capo talvolta creano continuità, altre volte fluttuano e rendono le poesie organismi dalla direzione imprevista: “[…]// Rivedo il tuo ritorno un’altra sera/ lontana sul finire di settembre/ le finestre di aria/ e l’umile risveglio delle piante/ che al tramonto bagnavi// Nel tuo gesto di allora c’è una luce/ tranquilla non presaga/ senza pensiero alla sua curva/ e l’ombra tanto più sottile/ incontro al buio// Così nell’ora che precede il dolore”. Altrettanto calibrato è l’uso del lessico e del tono, che alterna termini più colloquiali (“cinemetto”, “E tu come stai?”, “Se ne può discutere a lungo”) a un tono più alto o lirico: (“rallegrarmi”, “in uno svolo prodigioso” “l’enfie gote”. E l’uso delle assonanze, anche quando ravvicinate: “tralci… calici… tralucere”. La misura del resto corrisponde a un temperamento autoriale riservato, scevro da compiacimento sia nei confronti della propria poesia che dalle più usate forme di autopromozione in rete.
La poesia di Marco Vitale vive di aria e luce: si tratta di “una luce debole e dorata” al diradarsi della nebbia, o intermittente tra i pini, la luce del congedo del giorno, la “luce tranquilla” non presaga, l’azzurro delle “Città bianche” della Provenza descritte da Joseph Roth, il raggio “unico di riflesso e doratura”, la luce “smemorata” tra i colli. Come l’elemento Aria, anche la Luce non gioca un ruolo solamente estetico- pittorico di superficie. Si tratta il più delle volte di un controluce, un sipario trasparente attraverso il quale le ombre si fanno oscillanti, prendono vita ed esse stesse forme di luce, come riflessi sulla superficie acquatica. Si tratta di un tra-lucere attraverso la poesia da parte di chi scrive, tra-passare attraverso i diversi stati della condizione umana, illuminare di memoria i protagonisti, i luoghi e il Tempo. Percepirli in quanto presenze.
Questa mattina, sai, con tutta questa nebbia andrei a rinchiudermi in un cinemetto per amanti un po’ frusti, infreddoliti Marcel Carné, Jouvet, la voce roca e iridescente di Arletty quando confessa J’adore ça, moi, la liberté Ma qui, vedi, non è come a Parigi le pellicole iniziano alle quattro e io resterò su questa vecchia 23 fino alle soglie di Lambrate Poi anche la nebbia se ne andrà per una luce debole e dorata farà più caldo e rincasando una tua lettera sarà a rallegrarmi. Ma intanto dimmi è ancora bello a Roma? E tu come stai? *** (da Canone Semplice, Jaca Book 2007) La luce che mi agevola compone un quadro come fatto di pensieri arresi, di guide sul percorso erano i pini di giugno sulla strada consolare la sintonia di un mare ritrovato, un breve tratto tra il dopoguerra e l'estate Se ti ascolto sei lì quel solco d'anni disposto in un motivo di speranza condivisa pensavi e quanto impoverita la “saggezza” che mi tocca padre di un altro tempo di un Novecento che pareva gemma di paragone riflessione da svolgere con tutti i dubbi e i punti fermi Sfuggente si fa il lessico il tema del ricordo il morire di un giorno in uno svolo prodigioso di storni sulla piazza dei Cinquecento e penso alla dimora che ti offende scandalosa aporia Qui dove si partono le strade e sale un tempo che concilia è quiete è vastità che tutto tocca e perde è congedo di un giorno Rivedo il tuo ritorno un'altra sera lontana sul finire di settembre le finestre di aria e l'umile risveglio delle piante che al tramonto bagnavi Nel tuo gesto di allora c'è una luce tranquilla non presaga senza pensiero alla sua curva e l'ombra tanto più sottile incontro al buio Così nell'ora che precede il dolore *** (da Diversorium, Il Labirinto 2016) Hai mai guardato in volto la Tarasque? Dal suo scranno in capitolo l'abate di Sénanque non la perdeva per consegna di vista e ne additava ai confratelli le lusinghe e le insidie Gli occhi presi in un soffio l'enfie gote i baffi in aria, come quelli di un gatto spezzavano il nitore cistercense a dare segno al male nella pace e monito sulla via delle stelle Esule Joseph Roth ne colse l'animo di mostro casalingo e pacioso la sentì amabile sotto un azzurro troppo, troppo tardi trovato *** (da Diversorium, Il Labirinto 2016) La souris Non si sente più nulla tutto è fermo hanno teso da tempo le invisibili nappe, tutto tace Da dove cade unico di riflesso e doratura quel raggio? Dove batte e rifrange per azzardo di iridi? Ospite impreveduto, caso opaco mi chiamò un giorno un capriccio di ragazzo una setola intinta in un impasto di ocre Oh tu che mi hai lasciato qui tra questi tralci gelidi e maturi, tra questi calici dove il timore si specchia e interroga il silenzio, solo questa di te rimane mia aporia mio indebito tralucere nel sogno *** (da Diversorium, Il Labirinto 2016) La collina di Fourvière Non ricordo in che punto dell'ellisse che dispone con cura le raccolte dei primi secoli dell'età volgare si conservi una stele col mio nome un manufatto scabro, ma inciso in capitali di una certa schiettezza Parla di un Marcus Vitalis che nell'antica Lugdunum divenuta romana - ora la limpida elegante Lione - tenne una mescita di vino e fu una specie di console di sindaco della corporazione degli osti Visse grazie a quel timido arbusto solo da poco conosciuto e lì giunto con i calzari di Cesare: un segno certo di conquista, un bene a troppo caro prezzo? Un lembo grato di destino come l'uso liturgico - di lì a poco - lascerebbe supporre? Se ne può discutere a lungo anche a partire da questa semplice traccia *** (da Diversorium, Il Labirinto 2016) Anime, e che cos'altro qui? Per questo scabro purgatorio al limitare del silenzio, di una luce sui colli senza oltraggio smemorata Anime tra questi pini che disegnano una perduta eleganza e una stagione del ritorno non vi inganna Anime di cunicoli di braci spente di ormai scordate rime in fiore e amore *** (da Gli anni, Nino Aragno 2018) per Alberto Toni, ricordando Un giovane poeta locuzione legata al mio incontrarti eri tu un giovane poeta, ti ascoltavo ammirato e pensavo: ma non erano i tanti anni di una vita e di studio a farne uno semmai? Rainer Maria sembrava suggerirlo ma tu leggevi il tuo “universo trentenne” sotto gli angeli immobili del ponte che rivedo riflessi di notte nel fluire del Tevere *** (da Emblems of Sleep, Gradiva 2020)
Nota biografica
Marco Vitale (Napoli 1958) vive a Milano. Le sue poesie sono raccolte nel volume Gli anni (Nino Aragno Editore 2018) che comprende i seguenti libri: Monte Cavo, Edizione del Giano 1993, L’invocazione del cammello, Amadeus 1998, Il sonno del maggiore, Il Bulino 2003 (poi in Bona Vox, Jaca Book 2010), Canone semplice, Jaca Book 2007, Diversorium, Il Labirinto 2016.
Una sua scelta antologica, dal titolo Emblems of Sleep and Other Poems, è uscita nel 2020 a New York per Gradiva Publications nella versione di Barbara Carle.
Traduttore letterario, autore di racconti e pubblicazioni saggistiche, collabora con “Cenobio”, “Succedeoggi” e “Poesia”.
Un grazie a Gigi e complimenti a Marco. Davvero interessante il tuo lavoro sulla parola. Mi sembra ci sia in profondità una pacata riflessione filosofica sul senso dell’esistenza, ammesso che ne abbia uno. Spero di leggerti ancora.
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