Archivio mensile:aprile 2021

Poesia Sottobanco #3_Canto di una Metamorfosi

di ALICE SERRAO

#poesie sottobanco è una rubrica che parte da un’immagine: due compagni di banco che si passano di nascosto un foglietto su cui è scritta, folgorante come una rivelazione, una poesia; perché quando intravediamo la bellezza viene voglia di indicarla a qualcun altro, di condividerla.

Apollo e Dafne – Bernini

Mi spiegarono la differenza 
tra uomo e donna - le caratteristiche 
elementari del maschio
e della femmina. Non mi rivelarono però 
a quel tempo cosa
si trovasse nel mezzo, all’incrocio
imprevisto tra i due sessi.
Crebbi con una dicotomia nelle ossa
nel perenne adattamento all’una
o all’altra identità.

Solo dieci anni dopo compresi
che esattamente nel mezzo
-indefinita, sfumata, disforica -
c’ero proprio io.

(Giovanna Cristina Vivinetto, da Dolore minimo, Interlinea 2018)

“La vera natura delle cose ama confondersi” – dice Eraclito, citato da Vivinetto in apertura a una delle sezioni della raccolta del suo libro “Dolore minimo” (Interlinea 2018).

Al centro di “Dolore minimo” c’è lo scandalo del corpo, raccontato nella trasformazione, fisica e psicologica, che conduce Giovanni a divenire Giovanna. Un percorso caratterizzato dal “dolore”, che riesce a divenire “minimo”, marginale, solo nel momento in cui viene interiorizzato e assorbito, quando il tentativo di risanare la “dicotomia” giunge a un felice compromesso e il poeta passa da quel “perenne adattamento all’una/ o all’altra identità” alla lapidaria affermazione di sé: “compresi/che esattamente nel mezzo […] /c’ero proprio io.” 

In questo canzoniere lirico della metamorfosi, il tema della riconquista della propria identità fonda la raccolta, sviluppandosi attorno a due cardini: il corpo e il nome.

Il corpo è il dato biologico di partenza, che viene indagato davanti allo “specchio” dall’io poetico che si confronta con le “caratteristiche / elementari del maschio / e della femmina”; il conflitto si attua tra il dato estrinseco di natura e la natura intrinseca del proprio sentire, tra necessità e scelta. Il corpo è infatti “disforico”: porta dentro un malessere. Quello di chi ha sempre orinato in piedi” pur desiderando di “sedersi senza deformare”. 

Ciò che compie il cambiamento, ciò che può rendere “vivi e reali” è però solo il nome; nella sua potenza adamitica, esso sancisce in “tribunale” il passaggio, la nuova nascita, che non è dono, ma scelta. Il nuovo “battesimo” non avviene tramite un atto affermativo, bensì grazie allo “sbarazzarsi delle ‘emme’ sui documenti”: un gesto che toglie. La nuova identità emerge, infatti, non da un atto creativo, bensì da un atto privativo: come accade per i marmi di Michelangelo, la riconquista della forma viene dal gesto “a levare” che sbozza quel corpo “indefinito” ed elimina quanto eccede. 

Particolarmente interessante è infatti l’idea reiterata che la nascita non sia atto positivo, ma menomazione. La poesia si rifà ai riti orfici, per i quali rinascere significa essere fatto a pezzi e riassembrato, come accade a Orfeo e a Osiride. 

Ma la conferma definitiva, la legittimazione della nostra libertà di essere, viene necessariamente dalla relazione con l’altro, che ci tocca e “per un attimo mi restituisce/ tutto ciò che mi manca – e al suo miracolo /questa sera mi faccio donna. /Completamente.” Dopo il doloroso confronto con lo specchio, è l’incontro con l’altro a essere definitorio e definitivo, rito di iniziazione che immette un nuovo corpo a una nuova esperienza della realtà.

Gli altri, in questo testo, però, non hanno ancora questa funzione liberatoria, ma sono la terza persona plurale che ha il compito di “spiegare” e “rivelare” “le caratteristiche elementari” di una natura necessariamente dicotomica. E mentre loro spiegano la realtà classificata e definita in coppie oppositive, l’io del poeta comprende di trovarsi esattamente nel “mezzo”. Parola ripetuta due volte per ribadire la condizione del poeta; a ciò si aggiungono “incrocio” e “indefinita” “sfumata” ad indicare la mancanza di nitidezza nella percezione di un sé difficile da collocare tra gli aut-aut. Come già sosteneva Spitzer, infatti, sono proprio le ricorrenze, le spie lessicali, ad aprire un varco nel mondo creativo del poeta e a offrirci una chiave interpretativa.

Vivinetto ci racconta il suo processo di metamorfosi insistendo sull’elemento di dissonanza, 

insistendo cioè sui prefissi privativi come “dis”, “in” o “a” (si veda qui “sfumata”, “disforica” “indefinita”) che sottolineano, insieme alle scelte lessicali in generale, quell’idea di mancanza di cui parlavamo prima. Se la metamorfosi è, letteralmente, il processo di cambiamento della forma (morfos), colto nel suo accadere e dispiegarsi (metà), allora, la poesia e il canzoniere di Vivinetto sono, come in Petrarca, il tentativo di dare ordine e, appunto, forma a una trasformazione evolutiva che conduce ad affermare, infine, “c’ero proprio io”.

AI CONFINI DELLA REALTA’

di RINALDO CADDEO   

   Quando e dove la prosa sfiora la poesia. O viceversa: dove e quando la poesia interseca la prosa? C’è un terra di nessuno, vuota e complicata, che segue confini tortuosi, frastagliati, imprevedibili. 

   L’idea sarebbe di occuparmi della prosa breve, (aforismi, memorie, testimonianze, racconti, fiabe), che sconfina nella poesia, tra invenzione e realtà, trasfigurazione e rappresentazione, istanza narrativa e disagio esistenziale.

   Ai confini della realtà, nei recessi del mondo o della letteratura. Ma dove sono situati questi confini? Come rintracciarli?

«Eh! Qu’aimes-tu donc, extraordinaire étranger? J’aime les nuages… les nuages qui passent… là-bas… là-bas… les merveilleux nuages

(Baudelaire, Petits Poëmes en prose, Gallimard, Paris 1973, p.23).

25 Aprile

ORA  E  SEMPRE  RESISTENZA

da Cantacronache, Parole di Italo Calvino – Musica di Sergio Liberovici

Oltre il Ponte

“O ragazza dalle guance di pesca / o ragazza dalla guance d’aurora / io spero che a narrarti riesca / la mia vita all’età che tu hai ora. / Coprifuoco, la truppa tedesca / la città dominava, siam pronti / chi non vuole chinare la testa / con noi prenda la strada dei monti / Silenziosa sugli aghi di pino / su spinosi ricci di castagna / una squadra nel buio mattino / discendeva l’oscura montagna / La speranza era nostra compagna / ad assaltar caposaldi nemici / conquistandoci l’armi in battaglia / scalzi e laceri eppure felici /Avevamo vent’anni e oltre il ponte / oltre il ponte ch’è in mano nemica / vedevam l’altra riva, la vita / tutto il bene del mondo oltre il ponte. / Tutto il male avevamo di fronte / tutto il bene avevamo nel cuore / a vent’anni la vita è oltre il ponte / oltre il fuoco comincia l’amore. //

Non è detto che fossimo santi / l’eroismo non è sovrumano / corri, abbassati, dai balza avanti! / ogni passo che fai non è vano. / Vedevamo a portata di mano / oltre il tronco il cespuglio il canneto / l’avvenire di un mondo più umano / e più giusto più libero e lieto. / Ormai tutti han famiglia, hanno figli / che non sanno la storia di ieri / io son solo e passeggio  fra i tigli / con te cara che allora non c’eri. / E vorrei che quei nostri pensieri / quelle nostre speranze di allora / rivivessero in quel che tu speri / o ragazza color dell’aurora. / Avevamo vent’anni e oltre il ponte / oltre il ponte ch’è in mano nemica / vedevam l’altra riva, la vita / tutto il bene del mondo oltre il ponte. / Tutto il male avevamo di fronte / tutto il bene avevamo nel cuore / a vent’anni la vita è oltre il ponte / oltre il fuoco comincia l’amore. / Avevamo vent’anni e oltre il ponte / oltre il ponte ch’è in mano nemica / vedevam l’altra riva, la vita /tutto il bene del mondo oltre il ponte. / Tutto il male avevamo di fronte / tutto il bene avevamo nel cuore / a vent’anni la vita è oltre il ponte / oltre il fuoco comincia l’amore.”

CLAUDIA AZZOLA – IL DESTINO RACCHIUSO IN UNA STROFA

di Luigi Cannillo

La poesia di Claudia Azzola ha mantenuto la propria compattezza nel corso delle numerose raccolte pubblicate nel senso di una continuità compositiva che è figlia/sorella di coerenza etica e formale. Il tono è profondo e riflessivo, ma la fonte non è mai la quotidianità ordinaria né, sul versante opposto, la ricerca della facile verticalità. I riferimenti sono colti ed estesi e possono provenire dalla storia e dalla filosofia, dall’estetica e dal mito: dal ditirambo al Cabaret Voltaire, da Bernardo di Clairvaux al centauro fino alla citazione dal Purgatorio di Dante speranza in fior del verde. Gli interessi culturali dell’autrice si manifestano anche nella sua attività di progettazione e direzione delle pubblicazioni di  Traduzionetradizione, il magazine plurilingue, presente anche in rete, (http://www.traduzionetradizione.com/, unica concessione di Claudia Azzola all’utilizzo del web) che pubblica poesia e narrativa in diverse lingue sia di autori contemporanei che di autori storici con nuova traduzione. L’attività di poetessa e traduttrice, estesa nelle diverse aree geografiche, culturali e linguistiche, insieme alle occasioni di viaggi e contatti personali oltreconfine, è fondante nella sua scrittura.

Un’altra delle caratteristiche di questi versi è l’accumulo di elementi come per successive precisazioni e immediati aggiustamenti, scanditi dall’uso della punteggiatura. Non tanto in senso impressionistico ma di carico aggiunto, in una complessità che si fa via via più articolata a formare un quadro più vasto e ricco di ulteriori elementi, talvolta accelerando verso la chiusura dei testi: “È farsi, vita, apprendistato/ e piacere e austera misura.” Altre volte con slittamenti e cambi di soggetto o riprese, in unità sintattiche articolate: “Ci metto la tacchetta gialla, a futura memoria, auspicio/ ventura; e amavo la scrittura./ Sciacqua il fortunale, tempesta/ sul petto, sulla carta cola.” E anche in una cascata di versi di una sola parola: “[…]/ sulla spina dorsale e negli organi/ interni/ ostacolo/ miracolo/ euforia/ nevrosi/ naturale abitacolo/ voce dallo sprofondo”.

L’effetto dinamico delle associazioni viene a volte interrotto da un elemento imprevisto, il passaggio di un lampo trasversale che rimette in discussione l’ordine dei versi e, facendo luce, scompiglia le certezze.  Così la breccia operata dalla lettera antica, o la trasformazione del dominus amore, lo stesso disordine del cosmo. La poesia è allora questa entità che vive sia di solide colonne compositive che di folate che turbano le sicurezze e le attraversano. Così talvolta sul piano formale viene anche interrotta la linearità della disposizione dei versi o della successione verbale, in una coordinazione inaspettata, nel passaggio tra astrazione e concretezza, dall’uso di un lessico più colto e ricercato (quietudine, forre, vampa, witz), oppure in una citazione, una rima inattesa, o nell’uso dinamico dei tempi verbali: “qui viveva un amico, lo si aspetta”.

Alla poesia in generale, e in particolare in questi testi scelti dalla stessa Azzola, spetta proprio il compito di registrare sensibilmente la tensione del tempo e quella di chi scrive, l’instabilità degli eventi storici e delle vicende umane, sfruttando la propria capacità percettiva, con la sensibilità di una bussola o di un anemometro. Può intervenire anche un Witz, un motto di spirito, uno scherzo, a sfidare la fragilità: “non v’ha arte senza il riso, / il vero che per poco s’afferra”, ma quel vero è “atomo che ci precede e sfugge”. In una delle poesie “tutto diventa così presto antico”, siamo comunque esposti alle accelerazioni del tempo, ne siamo parte. La percezione del vero, al quale tendiamo ma che non riusciamo ad afferrare, è fondante sia della compostezza che dell’inquietudine della poesia di Claudia Azzola e della sua coscienza di scrittrice, consapevole del fatto che: “in una strofa è racchiuso il destino”. Il compito della poesia è riuscire a suggerire nei versi una traccia del destino anche quando la propria identità si presenti come dubbio o mistero, in piena armonia con il disordine del cosmo. Fino a farci ammettere: “e ancora non so di che stirpe sono”.

LA LETTERA

Ha fatto breccia una lettera antica:

colava mali longevi con tempesta,

giunti per posta, e tare della specie:

si spacca il mallo, il ditirambo

genesi della tragedia, il coro greco,

non stile per cronisti-romanzieri

così per dire, gazzettieri,

vocabolario…ordinario!

Ci metto la tacchetta gialla,

a futura memoria, auspicio, 

ventura; e amavo la scrittura.

Sciacqua il fortunale, tempesta

sul petto, sulla carta cola.  

(Da Il mondo vivibile, La vita felice, 2016)

CABARET DA-DA

Applausi, volti conosciuti, scena

di teatro, il cabaret Voltaire,

sberleffi alla gente bella e seria;

e paladini di libertà e diritti

trasmigrati nelle suburre,

vi abbiamo ritrovati su scalini

e pietra e scaloni e marmo, in groppa

alla testuggine tetra e porosa,

nella vita tranchante dell’eremita,

e gli attori, quando vanno,

automati si fanno avanti, bestioni,

carcere, mondo quieto,

quietudine, despota tra gli uomini.

(Da Il mondo vivibile, La vita felice, 2016)

LA VOCE

Cos’è vita ora che s’allontanano

i tuoi occhi come strada di notte,

spenta la vampa, cos’è vita giusta

il luogo giusto

se la natura quando l’ho cercata

fu natura snaturata nient’altro

che forre incompiute ignote agli dei:

dove era prima dominus amore

tua vertigine mio bacio aperto,

ora è corpo sottile, voce,

come fu detto di Bernardo

di Clairvaux: “È una voce, solo.”

Era la vampa di stare in natura. 

È farsi, vita, apprendistato

e piacere e austera misura.

(Da Il poema incessante, Poesie 2001-2006, Inserto di “Testuale”, gennaio 2007.)

 . :

TUTTO DIVENTA COSI PRESTO ANTICO

Qui viveva un amico, lo si aspetta,

nel lontano nerume dei numi:

stretto d’anemia nel colmo del sonno

in una strofa è racchiuso il destino;

in una lettera, in un carteggio

tutto diventa così presto antico

e buca le stanze dove c’è catrame,

e ancora non so di che stirpe sono.

(Da Il mondo vivibile, 2016)

CENTAURO

Ricorda la forza dei padri che hanno

seme del Centauro – ai margini

per possanza – e figli e figlie

nei millenni di smemorati

padri, vanno avanti per memoria,

e polifonia.    Centauro

                      parte del

                      disordine del cosmo

prima che entri in noi deve morire;

si prepara un buio mai visto,

prima, si procede forzando

il mare di detriti col corpo,

con cuore monadico e, padre,

                      “apri le ali”

                      disse parlando dell’anima

                      Socrate a Fedro

(Da Tutte le forme di vita,  2020)

IL NUOVO SECOLO

Scendo in strada a vedere i volti,

inconsapevoli molti; presto sarà

inverno, il tempo più dubbioso,

e saprò cosa sei stata nella vita,

conoscerò speranza in fior del verde

conoscerò i contemporanei,

traendo vigore dalle azioni, 

e dal parlare il verde del vigore

e digitalis purpurea, albiflora

e voce solitaria in mezzo ai rovi;

non costruirò bellezza in questa ora,

nel secolo dei nuovi diavoli. 

(Da  Il mondo vivibile, 2016)

(Senza titolo)

Non c’è un “io” più fragile di quello

che non dice mai un witz, fragile

alga rossa in un vaso di vetro,  

non sappiamo quanto la struttura

del corpo reggerà l’onda d’urto

sulla spina dorsale e negli organi

interni

ostacolo

miracolo

euforia

nevrosi

naturale abitacolo

voce dallo s-profondo,

non v’ha arte senza il riso,

il vero che per poco s’afferra,

vena rossa di terra, anima,:

atomo che ci precede e sfugge.

(Da Tutte le forma di vita, Ed. La Vita Felice, 2020)

Claudia Azzola, poetessa, scrittrice, traduttrice, è presente in riviste, in antologie, nelle performances poetiche in Italia e in Regno Unito, per collegamenti con letterati. Sue poesie sono tradotte in inglese e in francese. Ha pubblicato  libri e plaquettes, tra cui, Ritratti, Campanotto, 1993, Viaggio sentimentale, Book, 1994; Il colore della storia, Campanotto, 2002; È mia voce tramandare, Signum Arte, 2004; Il poema incessante, monografia della rivista “Testuale”, 2007; La veglia d’arte, La Vita Felice, 2012. Nel 2014 è uscito il libro di novelle in scenari storici, Parlare a Gwinda, La Vita Felice. Dello stesso editore, Il mondo vivibile, 2016, e Tutte le forme di vita, 2020. Un secondo libro di novelle, per i tipi di Effigie Edizioni, è previsto per aprile 2021. Da oltre un decennio, il progetto “Traduzionetradizione”  pubblica poesia e narrativa di autori contemporanei e autori storici con nuova traduzione,  e anche poeti dialettali, e delle avanguardie tra Otto e Novecento, con parti iconografiche e documentarie. Un  magazine plurilingue, dedicato alla traduzione, che milita nel dibattito culturale europeo. 

FESTEN -FESTA IN FAMIGLIA

di Alessandro Magherini

FESTEN – FESTA IN FAMIGLIA

(Danimarca, 1998)
Diretto da Thomas Vinterberg
Prodotto da Birgitte Hald
Soggetto e sceneggiatura di Thomas Vinterberg
Fotografia di Anthony Dod Mantle
Montaggio di Valdís Óskarsdóttir 
Con Ulrich Thomsen, Henning Moritzen, Thomas Bo Larsen, Paprika Steen, Birthe Neumann.

Il 13 marzo 1995 i registi danesi Thomas Vinterberg e Lars von Trier (futuro autore di pellicole fortemente innovative, come Le onde del destinoDogvilleMelancholia, solo per citarne alcune) annunciano il loro “voto di castità”: nasce così il gruppo Dogma 95 che si propone di contrastare la tendenza, sempre più presente nel cinema, all’uso di effetti speciali ed elementi spettacolari. Come un movimento pauperista medievale, cercano di ricondurre il lavoro del cineasta a un’essenzialità monacale che faccia uscire fuori gli aspetti di contenuto e di verità presenti nell’opera, evitando i tratti stupefacenti e l’uso esasperato della tecnologia. Il “voto di castità” è un decalogo vòlto ad eliminare ogni elemento “cosmetico” e “superficiale” dalla narrazione cinematografica. Fra le norme fondamentali troviamo: riprese in location (“le riprese devono essere girate dove il film si svolge”), niente scenografia,macchina portata a mano (dunque niente carrelli o dolly), musica rigorosamente diegetica (“presente quando il film viene girato”), niente trucchi ottici.

Nel 1998, Vinterberg dirige il primo film Dogma: Festen – Festa in famiglia e vince il premio della Giuria al Festival di Cannes.

Festen è una sorta di schiaffo alla società capitalista, patriarcale e razzista, una cannonata al “familismo amorale” che, sembra dire l’autore, non riguarda solo la backward society studiata da Banfield ma si applica pienamente all’alta società di un paese nordeuropeo come la Danimarca.

La storia è sviluppata con profondità psicologica e senso del paradosso, ma è semplice. Per il suo sessantesimo compleanno, il magnate dell’acciaio Helge Klingenfeldt convoca familiari e amici per una grande festa nella sua monumentale residenza di campagna. Sull’incontro pesa un antefatto: la morte per suicidio della figlia Linda, gemella del protagonista, Christian. Gli altri membri della famiglia sono la moglie Else, la figlia di primo letto Helene, l’ultimo figlio Michael. Quando durante il grande pranzo introdurrà un brindisi, Christian denuncerà di essere stato oggetto nell’infanzia, insieme a sua sorella Linda, di orrendi abusi sessuali da parte di Helge. Tutto quello che succede dopo è una conseguenza di questa rivelazione: una forma di cannibalismo nei confronti dell’elemento perturbatore che troverà scioglimento solo con una rivelazione finale che è quasi un messaggio dall’aldilà.

In obbedienza a un altro dei dettami del manifesto di Dogma 95, l’unità di luogo è rigorosa e crea un potente senso di claustrofobia capace di evocare uno storico capolavoro come L’angelo sterminatore di Luis Buñuel (1962). 

Sempre nel 1998 Lars von Trier gira il secondo film Dogma, Idioti. Altri registi, in seguito, aderiranno al manifesto, fino ad arrivare – nel 2005, quando il movimento si scioglie – a un totale di 35 film (fra cui non posso non segnalare il delizioso Italiano per principianti, girato nel 2000 da Lone Scherfig) realizzati secondo il “voto di castità”. 

Festen è visibile gratuitamente in italiano cliccando il link

https://cbo1.movie/4k/MTIxNTc=

La frase celebre del film è, in questo caso, un secco passaggio di dialogo fra Christian e suo padre Helge:

– Non ho mai capito perché tu l’hai fatto.

– Non eravate buoni ad altro.