MARCO BELLINI. Lo spessore del quotidiano

di Luigi Cannillo

Marco Bellini

Nelle poesie di Marco Bellini si intersecano due diagonali che a volte prevalgono l’una sull’altra, altre volte coesistono. La prima linea è quella della quotidianità discorsiva, la piana consequenzialità nella successione degli eventi. La seconda è quella dell’inquietudine che increspa  gli avvenimenti, il senso del mistero ispirato da fenomeni che sembrano inspiegabili. È come se si incrociassero alcuni elementi della poetica della linea lombarda (lo svolgersi della vita comune, la sobrietà del tono, la misura del verso) e le atmosfere del gotico, che avanzano destabilizzanti fino al davanzale domestico. La sintesi delle due componenti si esprime in modo significativo nei momenti in cui il reale si manifesta in segnali che caratterizzano le nostre consuetudini più semplici e, nello stesso tempo, proiettano un’ombra: “Le tende sbeccate non possono nulla./ Forse possono l’appartenere a una sedia/ il proprio bicchiere la sera/ tutte le sere l’impronta sulla tovaglia” Oppure un brivido,  in questo finale: “Forse nell’esitazione di certi uomini/ al rientro delle notti in città, un tremore/ nell’infilare la chiave, una colpa che emerge.”

Il quotidiano quindi acquisisce consistenza al di là degli elementi generici ed esteriori attraverso i quali si manifesta abitualmente e si sviluppa in uno spessore che ne contiene il senso più complesso e profondo – ma non sempre immediatamente decifrabile. Così la dimensione esistenziale è segnata dalla percezione della semplicità degli eventi e dall’umiltà dei gesti ma, allo stesso tempo, anche dal mistero e dalla fragilità delle nostre certezze. Il tempo da un lato costruisce e conferma le nostre abitudini, dall’altro può smantellare le sicurezze.

Sotto l’aspetto stilistico la modalità di posporre il soggetto, oppure il riferimento anticipato attraverso i pronomi o anche l’alternanza dei tempi verbali rendono  particolarmente coinvolgente l’andamento narrativo di alcune poesie: “ I bambini che l’ascoltavano oggi sono nonni/ questa storia vorrei metterla sul foglio/ per non perderla, una storia che sta solo nel vento. / Viveva d’ombra nella voce dei vecchi/ […]”. Nel testo inedito più breve che conclude la selezione, compiuta dallo stesso autore. invece prevale un’atmosfera più sospesa e allusiva: “Curioso/ che strizzando tra le dita un petalo/ ancora oggi si spanda l’aroma/ di quei molti caffè.” Se la prima poesia, La donna del gioco, rivisitazione di una leggenda popolare, si potrebbe considerare anche un omaggio/memoria al titolo di una raccolta di Maurizio Cucchi, “la camelia”ricorda invece le atmosfere rarefatte e evocative di Gianpiero Neri. Comunque, rimanendo sempre nell’ambito della tradizione lombarda del Novecento, mi sembra appropriato riferirci al solco tracciato da Vittorio Sereni, sia per la lucidità etica della sua poesia che per l’inquieta percezione dello scorrere del tempo ma anche per la vigile articolazione dei versi. Rispetto a questo diapason ideale Bellini orchestra alcuni dei suoi testi sviluppandoli in ampiezza e dettagli, come nell’inedito che ha al centro l’ “esemplare unico”, includendo citazioni e forme di lingua parlata, per seguire il passo della narrazione e mantenere in evidenza la linea principale dello sviluppo del testo anche scendendo nei particolari: “Qua e là il calco/ di parole scritte su pagine perdute./ Versi evidenziati, sottolineati,/ racchiusi dentro parentesi improvvisate/ o indicate da frecce piene di stupore”. Così sfogliando il volume della biblioteca oggetto della poesia si legge parallelamente la stratificazione di tutte le letture precedenti con i commenti e le sottolineature che rimarranno per i lettori successivi.

Molto felicemente in alcune poesie coincidono in modo sintetico figure e immagini retoriche, materia e evocazione, elementi appartenenti a campi diversi. Così nell’ombra della camelia in giardino ”L’ombra gentile era il mestiere/ messo dentro le giornate”; oppure il moltiplicarsi e la ripetizione della forma dell’ombrello: “il nocciòlo ti faceva da ombrello/ sopra l’ombrello […]// Era anche un po’ aspettare,/ questo il verbo per la pioggia,/ mentre tutto ti conteneva, definitivo/ tra l’ombrello e l’ombrello// di te e i talloni.” Ed è proprio in queste sospensioni che le varie caratteristiche del testo si ricongiungono, trovano il punto di equilibrio.

La donna del gioco

I bambini che l’ascoltavano oggi sono nonni
questa storia vorrei metterla sul foglio
per non perderla, una storia che sta solo nel vento.
Viveva d’ombra nella voce dei vecchi
la stalla era il luogo delle parole scaldate
le viscere che scaricavano
e il soffio dei musi. I bambini prima del sonno
il fascino della paura che gonfiava
occupava i loro sguardi, faceva terra per i sogni.
Solo i capelli sarebbero spuntati dalle coperte.
Saliva le valli leggera, i cani tiravano la catena
era la donna del gioco, nessuno diceva male
nessuno cercava l’incontro. Fatta di buio
e soffi sapeva le disubbidienze, muoveva
una sedia, un chiarore inatteso, passava,
contava le ossa addormentate nei letti
poi andava.

Oggi non si sa nulla di lei, le parole
prestate al suo racconto se ne sono andate
non si sa quale cane conosca il suo odore
se una valle abbia ancora il suo buio.
Forse nell’esitazione di certi uomini
al rientro nelle notti di città, un tremore
nell’infilare la chiave, una colpa che emerge.

Nota: si tratta di una leggenda popolare che narra di una figura misteriosa e inquietante chiamata la donna del gioco. Ancora oggi la si racconta nelle valli delle province di Bergamo, Sondrio e nel Bresciano.

(Sotto l’ultima pietra, La Vita Felice Editore, 2013)

*
Come spiegarle queste finestre senza vetri
che tutto ci passa dentro
e fa un freddo diverso, preso lontano
il freddo che un pianeta attraversa
e lascia sul filo dell’orbita. Un fiato scuro
che non penseresti mai sul tuo davanzale.
Mancano i rimbalzi della luce
a concludere il giorno
prima che l’aria gialla della lampadina
dia il passo ai gesti lenti della casa.
Le tende sbeccate non possono nulla.
Forse possono: l’appartenere a una sedia
il proprio bicchiere la sera
tutte le sere l’impronta sulla tovaglia. 

(Sotto l’ultima pietra, La Vita Felice Editore, 2013)

*
Ancora il giardino. Sarà che ti somiglia
che tutto ti contiene dove sei stato:
il nocciòlo ti faceva da ombrello
sopra l’ombrello. Accoccolato
i talloni piantati nel richiamo della terra
ascoltavi la tua voce da bambino, i rimasugli
delle fughe per non bagnarsi
quando la vita ti entrava dalle pupille
accendeva le tue possibilità
fermate ora
come lo spegnersi di un vecchio televisore.

Era anche un po’ aspettare,
questo il verbo per la pioggia,
mentre tutto ti conteneva, definitivo
tra l’ombrello e l’ombrello

di te e i talloni.

(La complicità del plurale, LietoColle Editore, 2020)

*
Mentre i vetri portavano sul letto il rumore sbattuto
e graffi luminosi alla carne rimasta
ti sentimmo dire: “vorrei morire così,
dentro un temporale, nel vento e il buio vibrato”.

L’energia liberata volevi mostrasse
la collina di spalle, il taglio scavato
nel tronco messo lì capace di portare su,
la forma concava di un abbraccio, ultimo
a stropicciare i soprammobili, l’inclinazione
imprevista di un quadro. E la finestra in mezzo
decideva dosi minime di mondo per te
frammenti, a piccoli strappi, per occhi
e palpebre lente a lasciar entrare.

Come una premonizione sfuggita, non si capiva
se stanza e morte già si parlassero.
 

(La complicità del plurale, LietoColle Editore, 2020)

Nel sonno

È morto anche lui nel sonno.
Era rientrato mentre il campanile,
infilato nella nebbia,
prendeva a botte la mezzanotte.
Veniva da una delle sue serate
passate al cinema, tutto da solo,
lui e gli attori americani. Ripeteva
che al cinema i sogni li potevi toccare.

L’hanno detto questa mattina al bar
che è morto nel sonno.
Tra un caffè e la gazzetta il suo nome
rimbalzava da un tavolino all’altro.
Le domande sulla casa, a chi sarebbe andata
assieme a quel violino antico a cui teneva tanto
e che accompagnava i grilli nelle notti d’agosto.

Ma come sarà, mi chiedo, morire nel sonno?
Magari quando è successo stava sognando.
Ma quindi, l’ultimo frammento di vita
è stato un sogno? Magari, invece di andare di là
è rimasto prigioniero nel sogno
gli tocca ancora di portare fuori l’immondizia
con il segugio al guinzaglio
che non vuole mai rientrare
e il rosario di male parole della vicina
perché il cane ha sporcato il marciapiede.
Magari sta ancora lì, dentro tutta quella fantasia.
E il bicchiere di rosso della sera
che non lo finiva mai, sarà andato con lui?

Se chiudo le palpebre, se stringo forte
lo vedo che esce tutto elegante
lo vedo sedersi al ristorante
con quell’attrice di Hollywood
che non ricordo mai il nome
quella che dallo schermo, a sentire lui,
lo guardava dritto negli occhi
e lo perdeva in un desiderio da bambino.

E mi fa ridere che di là
ancora lo aspettano.

(Antologia Muri a secco. RP Libri editore, 2019)

*

Esemplare unico

Lo troverete solo là, nella biblioteca di Merate.
Scaffale dedicato alla letteratura e poesia inglese.
Esemplare unico.

“È un po’ ammalorato”, queste le parole,
un po’ complici e un po’ per scusarsi,
che accompagnano il gesto della bibliotecaria.
Il libro, appoggiato sul bancone,
viene dallo scaffale dove da tempo
agisce un silenzio che lascia scalze le parole.
La copertina racconta frammenti
un balbettio consunto
un angolo mancante perduto chissà dove:
William Wordswo… Il preludio.

Lo apro in strada: è la presentazione
la stretta di mano per entrare.
Saranno molte le ore appiccicate
tenute insieme da queste pagine.

Si rivela subito un esemplare unico
corredato di macchie, pieghe, strappi.
Due fogli staccati
ancora si trattengono al loro posto.
Brevi appunti laterali
scritture spigolose o arrotondate
raccontano sguardi lontani
consumati sopra un prato assolato
o magari ai fornelli, mescolando odori
ancora oggi deposti nei pori della carta.
Qua e là il calco
di parole scritte su pagine perdute.
Versi evidenziati, sottolineati,
racchiusi dentro parentesi improvvisate
o indicati da frecce piene di stupore.
Strati come scritture rupestri:
il tratto rosso, i molti punti esclamativi,
piccole grida per dire “guarda qui!”.
Più frequenti i segni con la matita
forse un carattere più delicato
un modo di porgere, un accenno per suggerire
il germoglio di un pensiero infilato
tra due versi nati dentro quello che resta
un esemplare unico.

È bastata una matita, sfiorare un foglio
la pagina settantacinque, dare peso ai versi
“e appresi a sentire, forse troppo,
la forza autosufficiente della solitudine.”
per restituire alla bibliotecaria, settimane dopo,
un altro libro nuovamente diverso.

(Inedito)

*
La camelia si sporgeva sopra
la panchina del giardino, appena sotto casa.
L’ombra gentile era il mestiere
messo dentro le giornate.

Curioso
che strizzando tra le dita un petalo
ancora oggi si spanda l’aroma
di quei molti caffè.

(Inedito)

NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Marco Bellini, nato nel 1964, vive in Brianza. Sue pubblicazioni sono: Semi di terra (LietoColle, 2007); per le Edizioni Pulcinoelefante la poesia Le parole (2008); la plaquette E in mezzo un buio veloce (Edizioni Seregn de la memoria, 2010); Attraverso la tela (La Vita Felice, 2010); Sotto l’ultima pietra (La Vita Felice, 2013); La distanza delle orme @ – Poesie con CD Inserti (La Vita Felice, 2015); il libro d’artista Tra le spine (Edizioni Il ragazzo innocuo, 2018); La complicità del plurale (LietoColle, 2020, Premio Tra Secchia e Panaro, Premio Casentino, Premio Lago Gerundo). Nel 2013 è risultato vincitore con inedito nelle selezioni italiane per l’European Poetry Tournament. Sue poesie hanno ottenuto riconoscimenti in diversi concorsi e sono presenti in numerose antologie, su blog e riviste di settore. È stato tradotto in diverse lingue europee. Fa parte delle giurie del Premio Letterario Nazionale Galbiate e del Premio Nazionale di Poesia Umbertide 25 Aprile. Ha collaborato con la rivista Qui libri. Collabora con il semestrale di letteratura Incroci e con il blog CasaMattadove, in collaborazione con Simona Bartolena, cura la rubrica Le parole e la Tela. Con Paola Loreto ha curato l’antologia poetica Muri a secco (RPlibri, 2019). Cura la rassegna di eventi sulla poesia in collaborazione con l’Associazione artistico culturale Artee20 di Merate (Lc).

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